Un uomo in lotta: contro la solitudine della perfezione, l'inevitabile declino degli anni, la morte di un'intera tradizione musicale. Karajan credeva che la volontà potesse invertire il corso delle cose. L'intera sua esistenza fu spesa nello sforzo di superare le soglie della morte: garantirsi l'immortalità come artista. La sua, fu una reincarnazione di Faust: un Faust sedotto da mefistofelici ingegneri del suono. Per gli appassionati, egli fu, per un lungo periodo, la musica. L'uomo-Karajan, nel suo intimo, era un mistico innamorato della natura. La dissociazione, in lui, tra visionario del futuro e ultimo depositario del romanticismo mitteleuropeo, non fu l'ultima causa del suo isolamento tra una folla che, eppure, lo adorava anche per questo. A cent'anni dalla nascita, la sua poetica della musica appare, pur nella invasività multimediale, il retaggio di un'epoca lontana da noi. Meno di vent'anni dalla morte sono bastati per invalidare gravemente la sua gigantesca utopia: rendere perpetua la bellezza. Ma la distanza è anche uno specchio in cui la sua figura può, infine, apparire vera e umana, in tutta la propria grandezza.