Preoccupato che il diktat della felicità a tutti i costi condanni a una visione piatta e inerte della vita, Eric G. Wilson si lancia a spada tratta, come un antico cavaliere, in difesa della melanconia, quella disposizione d'animo così controcorrente, eppure così feconda di visioni innovative. In maniera provocatoria, attingendo a numerosi esempi tratti dall'arte e dalla letteratura, Wilson dimostra che la melanconia - come già sottolineava Carl Gustav Jung - ha un profondo legame con la conoscenza. Il melanconico, infatti, con l'introspezione caratteristica della sua indole, riesce a cogliere la complessità del cosmo in tutta la sua "bellezza terribile", e lo accetta così com'è, senza cercare di smussarne gli angoli o di appiattirne le asprezze. Da William Blake a Herman Melville, da John Keats a Ludwig van Beethoven, da Francisco Goya a Vincent van Gogh, da Virginia Woolf a Geòrgia O'Keeffe, Emily Dickinson, Samuel Taylor Coleridge, fino ad arrivare a Ioni Mitchell, Bruce Springsteen e John Lennon... sono molti gli artisti cui Wilson fa riferimento per dimostrare come la melanconia sia una forza vitale, strettamente legata alla genialità: solo la capacità di cogliere la realtà in tutte le sue contraddizioni consente di concepire mondi nuovi e di creare opere immortali.