Sospeso sullo scenario magico della Praga degli anni Venti, "I mutilati" è un romanzo figlio di quella atmosfera che oggi definiamo "praghese"; di quella crisi interiore - anche - che la psicanalisi riuscì a sezionare solo parzialmente. Il romanzo narra la tragedia di un'esistenza messa da parte dalla povertà, dal carattere alienante dei rapporti sociali, dalla melanconia sessuale, dal sadismo. Franz Polzer, umile e incolore impiegato di banca, sogna di combattere l'ostilità del mondo con un ordine metodicamente perseguito. Ma il fragile argine cede: è la "realtà", infatti, a vincere e a fare degenerare l'immaginazione malata in un caos totale. Quando Clara Porges, la donna presso cui ha affittato una stanza, si introduce nell'ordinato e angusto cosmo di Polzer, le fobie paranoiche, le ossessioni così faticosamente trattenute erompono e dilagano, segnando le tappe di un itinerario di dissoluzione che si conclude con un tragico rituale. La prevedibilità logorante dell'agire diviene abiezione senza ritorno. Alle spalle del carattere estremo di questo personaggio leso, umiliato, alle spalle della sofferta lucidità di Hermann Ungar, della sua riflessione sulla mutilazione del senso, sta di certo l'ombra di Fëdor Dostoevskij; ma si delineano anche la controllata follia di Franz Kafka, la fantasia di Gustav Meyrink, il masochismo degli adolescenti di Franz Werfel.