Come in una nenia acclamatrice della morte, i versi di Tommaso Tafuni cullano il lettore in una triste e disincantata melodia di parole che, paradossalmente, si fanno silenzio e riflessione. Un lento, inesorabile cammino verso la fine è quasi sempre il soggetto delle diverse liriche, vergate con un linguaggio fortemente descrittivo e abilmente saltellante tra desolazione e speranza, tra il buio della notte e i colori della natura, tra il silenzio delle vie contornate dai cipressi e i commenti di coloro che seguono un corpo rinchiuso in una bara. La morte e la vita s'incontrano e si scontrano, un confronto che non giunge mai a un risultato finale, obbligando chi legge a una riflessione sulla vita oltre la propria dipartita. Sovrastano ogni cosa la paura della dimenticanza, l'appigliarsi alla memoria delle immagini, dei profumi, dei ricordi. Emergono però la forza di volontà dell'essere umano e l'ancora di salvezza offerta dalla potenza della parola poetica. Mai, infatti, lo spirito tace e s'acquieta. Non sarà la morte a spegnere il fuoco dell'anima, l'uomo potrà comunque volare, si darà in ogni caso una spinta verso l'alto, ignorando volutamente il rischio che, forse, non ci sarà un cielo ad accoglierlo.