Insegnante al liceo di Lodi, Gaetano Salvemini affianca all'attività di studioso quella dell'osservatore e del militante politico. Al Nord, in particolare, scopre i testi di Carlo Cattaneo, e contemporaneamente inizia a collaborare a "Critica Sociale", la rivista-palestra del riformismo turatiano. Più in là negli anni, lo storico pugliese ricorderà quel periodo come uno dei "più belli" della sua vita. Frutto di questo insieme di circostanze favorevoli sono le pagine de I partiti politici milanesi nel secolo XIX, un volumetto formidabile in cui si mescolano rigore analitico e chiarezza espositiva. Al centro della narrazione, sempre nervosa e incalzante, il periodo che va dalla caduta del Regno d'Italia al 1859, anche se un capitolo finale aggiorna sui movimenti politici di rito ambrosiano sino alle soglie del Novecento. Ancora socialista, Salvemini rifiuta il clima, allora prevalente fra gli studiosi di vicende patrie, di embrassons-nous, sottolinea invece ambiguità e contrasti che caratterizzano la lotta politica dei lombardi "sotto il dominio austriaco". Il risultato è un quadro assai mosso, una varietà di voci e figure, il tutto tratteggiato con essenziale icasticità. Nulla che assomigli a certo preteso "unanimismo" così di moda nella vulgata risorgimentalista. Bella figura nel libro, infatti, fanno soprattutto i perdenti, a cominciare da Cattaneo, vera testa pensante delle Cinque Giornate milanesi.