"Avevo vent'anni quando mi infilai in una vecchia Renault 4 e andai da Kamen a Corleone. Solo perché mi ero letta Il Padrino". Così ha inizio il racconto di Petra Reski, affermata giornalista e scrittrice tedesca. Uno spensierato Grand Tour contemporaneo, che è soprattutto l'esordio di un innamoramento senza fine, quello per il Sud Italia. Replicato oggi, il viaggio ha però tutt'altro sapore: su quei 2.448 chilometri pesa la consapevolezza di una capillare interferenza della mafia nell'economia italiana ed europea, e non c'è più traccia della spensieratezza e dell'entusiasmo di ieri. Una lunga discesa, dalle fitte ramificazioni alla base della struttura mafiosa, un reportage scandito dalle tappe della conoscenza, come in una lunga via crucis anti-redentiva: incontrando magistrati e imprenditori coraggiosi, preti più o meno redenti, e poi uomini e donne collusi o pentiti. "Perché certi viaggi vanno fatti due volte". Anche se per trovare traccia della mafia non c'è più bisogno di andare fino in Sicilia. Le filiali della criminalità organizzata prolificano da anni sul territorio tedesco, come ampiamente dimostrato dal massacro di Duisburg e senza che sia stata adottata a oggi un'efficace azione di contrasto giudiziario. Fare affari senza uccidere, è questo il diktat delle mafie italiane in trasferta: traffico di stupefacenti e armi, smaltimento di rifiuti di ogni genere, riciclaggio dei proventi illeciti e contrabbando di merci contraffatte, per non parlare della compravendita dei voti.