Il problema del realismo, riassumibile nella domanda se le nostre descrizioni di senso comune o scientifiche del mondo esterno forniscano una rappresentazione fedele degli eventi e delle entità di una realtà oggettiva, indipendente da categorie linguistiche e processi epistemici, costituisce un tema a cui pressoché ogni filosofo, anche dopo Kant, ha sentito il dovere di dare una risposta. Willard Van Orman Quine non fa eccezione. Questo lavoro esplora tale problema, e quello a esso connesso della verità, nella filosofia della scienza e del linguaggio del celebre critico dei dogmi dell'empirismo nonché teorico della relatività ontologica, nella convinzione che in Quine si possano trovare argomentazioni tuttora valide in merito. Evidenziando le ambiguità e gli equivoci del dibattito realismo-antirealismo e confrontando le riflessioni del filosofo statunitense con le tesi di altri autori (soprattutto Hilary Putnam e Michael Dummett, ma anche Crispin Wright, Donald Davidson e Arthur Fine), il saggio individua nella concezione naturalistica quineana della conoscenza una delle forme più plausibili di realismo, benché non sempre valutata nella giusta prospettiva, una forma di realismo epistemico lontana non solo dal costruttivismo e dal relativismo ma anche dal tradizionale presupposto realista-metafisico, forse un altro dogma, della corrispondenza tra linguaggio e realtà.