Sette poemetti fra loro autonomi, e però legati da un sottile fil rouge: la "messa in opera" di un delirio storico e sociale contemporaneo, avvelenato alle radici dal "disagio della civiltà". Protagonista ne è l'uomo-massa: inscatolato, controllato, addomesticato. Una scrittura proteiforme, ricca di echi, colori e sfumature, articolata fra i registri del grottesco, dell'osceno, del sublime. Si portano a convivere, nel sobbollire magmatico delle parole, la corrosione acida della caricatura e lo slancio mistico dell'esperienza religiosa. C'è il rifiuto anarchico di ogni autorità. C'è il coraggio di affrontare gli orrori di una mente-identità metropolitana, ossessivamente prigioniera delle sue nevrosi e incapace di aderire al progetto di chi la vorrebbe funzionale ad un sistema generalizzato di controllo delle coscienze, e dunque votata all'impietosa, puntigliosa registrazione delle sconfitte, appunto le "disfunzioni", e pure agli sporadici (inutili?) tentativi di ribellione, di recupero della libertà.