Di "Vita sexualis" si sono date molte definizioni. Lo si è detto un romanzo intimo e autobiografico sulla nascita del desiderio, un'opera erotica che solletica i sensi mettendo a nudo i primi turbamenti di un adolescente; qualcuno lo ha descritto come uno studio parascientifico sul comportamento. Ma ciò che non viene mai abbastanza sottolineato è che si tratta di un capolavoro di ironia, il cui senso ultimo non sta né nell'introspezione del diario né nella fascinazione erotica, bensì nella sottile operazione critica con cui Mori Ogai, l'intellettuale più illuminato e consapevole del suo tempo, prende di mira tanto le usanze anacronistiche quanto le novità mal digerite di una società affannosamente impegnata a cercare il suo senso nel futuro. Nel 1909, quando l'opera venne pubblicata, il Giappone si era aperto all'Occidente da pochi decenni, e l'interrogativo su come e quanto importare il nuovo divideva il paese tra fautori di un'accettazione indiscriminata e fedeli a oltranza della tradizione. Il diario di Kanai Shizuka, che all'epoca diede scandalo, incorrendo per il suo contenuto "scabroso" nella censura del regime, in realtà dissimula nella materia erotica un vero e proprio romanzo di formazione con cui l'autore si sforza, dando un significato alla giovinezza, di dare un significato alla difficile modernità del suo paese.