È l'autunno del 1923, e una carovana sta per lasciare le coste della Mauritania diretta in Senegal. Ottocento chilometri, solo dune, lentezza, fatica e silenzio. Alla gente del deserto si aggrega un giovanissimo francese: l'attrattiva di quell'ignoto favoloso è troppo magnetica per un naturalista che è rimasto fermo dei mesi a studiare la fauna marina. Non sarà soltanto una traversata. Lì, tra l'incedere dondolante dei cammelli e i rituali antichi di un modo di vivere che non conosce l'agio, si compie un'iniziazione, anzi viene celebrato uno sposalizio destinato a durare. La lunga esistenza di Théodore Monod si svolgerà infatti sotto il segno del deserto. L'uomo di scienza ormai affermato non smetterà di fare ritorno all'incanto dei paesaggi che gli si sono dispiegati davanti quando si è affacciato all'età adulta. Pubblica solo a novantatrè anni il diario ritrovato di quel primo, trepidante incontro, scritto in terza persona come "Massenzio". Un nome da legionario per chi si avventura nell'immensità: "L'Africa non vuole per amanti gente schizzinosa e svenevole: ci vogliono il disprezzo dei beni terreni e l'amore della vita primitiva e un forte disgusto per tutto quanto c'è di artificiale in una civiltà troppo complicata".