I fiori di carta Sarah ha imparato a farli nel reparto oncoematologico di pediatria dell'ospedale San Matteo di Pavia. Aveva solo tre anni quando le diagnosticarono una grave malattia emolitica. Da quel momento trascorre gran parte della sua infanzia in corsia dove, pur toccando con mano il dolore, di quei giorni vissuti fra i camici bianchi, in balia di esami, terapie sempre nuove e prognosi mutevoli, Sarah custodisce solo ricordi felici. La malattia, vista attraverso gli occhi di una bambina, si tinge di poetica leggerezza, perde la sua connotazione drammatica per trasformarsi in un gioco. In queste pagine non c'è traccia di sofferenza, il dolore che costella il passato della protagonista, e che torna prepotente nel suo presente, le insegna ad apprezzare ancora di più il "dono" che le è stato fatto, la vita. I ricordi dei giorni in ospedale si intrecciano con i pensieri di Sarah adulta, che sin da piccola coltivava il sogno di diventare attrice. II flusso emotivo, che è la cifra stilistica del romanzo, esplora difficoltà e sfide che questa ragazza si trova ad affrontare sia sul piano esistenziale, sia professionale. Gli anni travagliati della gavetta, un lungo percorso scandito da anni di studio, da un'infinità di provini e viaggi continui, oscillano fra successi professionali e umane delusioni. L'iniziazione di Sarah all'amore si snoda attraverso riflessioni profonde sul significato dell'amicizia, sugli affetti familiari e le sconfitte private collezionate.