Questo saggio non è stato scritto per ripercorrere il filo di Arianna del più nobile e fecondo mythos moderno, quello di un nóstos alle origini della nostra storia che dovrebbe svelarcene il télos, ma soltanto per riconoscere che l'"idea di città" conserva ancora oggi delle tracce visibili nei punti apicali della storia urbana: a Roma come a Kyoto, a Parigi come a New York. Nei due sensi opposti della parola "cosmopoli" possiamo misurare già in limine la distanza e le relazioni carsiche, per non dire infernali, tra la città cosmografica delle origini e la postmetropoli globale e indifferenziata estesa su tutto il pianeta: il rizoma frattale e autosimilare senza interno ed esterno, e senza centro, che ci sta avvolgendo. La città nasce e muore come labirinto, ma il labirinto, come l'axis mundi, la Roma quadrata o i quattro angoli del mondo, erano symboloi in senso letteralmente inteso, punti di congiunzione tra Cielo Terra e Uomo, e oggi per noi tra Occidente ed Estremo Oriente, come si scopre mettendo a confronto le rispettive capitali imperiali.