Il signore dell'Olimpo su un trono di nuvole, con le gambe accavallate, vestito con una tunica rossa che gli scende fino ai piedi. Di fronte a lui una tela coperta d'azzurro, per simulare il colore del cielo, dove Giove sta dipingendo delle farfalle che volano ad ali spiegate. Si tratta di Giove, Mercurio e la Virtù (1524), un'opera di Dosso Dossi fra le più poetiche del Cinquecento italiano, "uno dei quadri più affascinanti di ogni stagione" lo ha definito Antonio Natali, interpretato in questo volume da Vincenzo Farinella con inedite argomentazioni. Vi si illumina il nesso tra l'invenzione di Dosso e un dialogo dell'Alberti, l'intercenale Virtus. Ma anche il debito nei confronti delle Immagini di Filostrato Maggiore, da cui il pittore o il suo committente trassero ispirazione per la concezione nuovissima di un Giove nelle vesti di "semplice" pittore. "La pittura è un'invenzione divina": Farinella ipotizza sia stata proprio questa frase ad aver stimolato, con ogni probabilità, l'idea del tutto inedita di rappresentare Giove come un artista all'opera. L'analisi prosegue documentando come il dipinto sia stato realizzato su commissione di Alfonso I d'Este, ipotizzando quindi che nell'immagine del dio vada ravvisata anche un'assimilazione mitologica del duca di Ferrara.