Se deve scegliere una sola immagine dal suo - primo - annus mirabilis con l'Inter, Samuel Eto'o pensa al re Juan Carlos, dopo la finale di Champions al Bernabeu, che gli dice una cosa semplice e bella: «Felicitazioni, hermano». In quel momento gli scorre davanti agli occhi tutta la sua vita, l'infanzia in Africa dove si trova a scegliere tra bicicletta e pallone, i rimproveri della madre che non voleva vederlo perder tempo a giocare, una Mercedes nera del Real che si addentra nel suo quartiere perché qualcuno deve chiedergli: "Vorresti fare un provino da noi?". Eccolo allora atterrare a Madrid in calzoni corti e con un gran freddo e li, subito, mettersi a correre come un nero per vivere come un bianco, collezionando completini del Real (e non usandoli praticamente mai). Il resto è storia del calcio, spagnolo, africano e italiano, una cavalcata elettrizzante, senza precedenti, macchiata solo qua e là da quei buuu razzisti di chi non capisce che hermano, fratello, è la parola giusta da usare con qualsiasi uomo, proprio come ha fatto il re. Samuel Eto'o non è soltanto un calciatore fenomenale, oggi implacabile trascinatore del sogno nerazzurro. E anche l'esempio vivente della stupidità di ogni razzismo e un'icona dell'Africa che cresce in campo e fuori. Veloce di pensiero, non solo di gambe, sorprendente, profondo, spassoso, ammalierà tutti con "I piedi in Italia, il cuore in Africa". Come quando è in campo. (Prefazione di Massimo Moratti)