"Meglio avere la Turchia dalla nostra parte piuttosto che contro". Un'affermazione che è forse all'origine della bizzarra decisione presa dalla Commissione europea, nel 2005, di aprire i negoziati per l'ammissione di Ankara nell'Unione. Sono state infatti "dimenticate" le condizioni poste dal Parlamento europeo nel 1987, che imponevano alla Turchia - oltre al ritiro immediato delle truppe da Cipro - il riconoscimento ufficiale del genocidio armeno, il rispetto dei Diritti dell'uomo, l'interruzione immediata di ogni atteggiamento persecutorio nei confronti delle minoranze cinico-religiose anatoliche. Perché questa strana indulgenza, che contraddice gli stessi principi democratici su cui è fondata l'Unione europea? A favore giocano certamente l'appartenenza della Turchia alla NATO, il suo ruolo di attore strategico nell'ambito delle dinamiche mediorientali, nonché la prospettiva dell'apertura di un nuovo, popoloso mercato per gli Stati europei in cerca di consumatori. Ma proprio l'aspetto demografico dovrebbe invece preoccuparci, avverte l'autore. Perché nel 2020 la Turchia potrebbe avere 90 milioni di abitanti e, quindi, il maggior numero di parlamentari europei. L'Unione avrebbe di conseguenza tra i suoi Stati membri un paese islamico in grado di far valere a livello legislativo istanze religiose e culturali totalmente estranee alle tradizioni del nostro continente. (Prefazione di Roberto de Mattei)