Non è facile essere credibili in campi diversi: a maggior titolo se questi campi occupano polarità opposte dello scibile umano, almeno nel comune sentire italiano, la matematica e la letteratura. Bisogna essere dei traduttori molto bravi, per conquistare la credibilità necessaria: e "traduttori" vale qui "divulgatori" o meglio architetti di ponti. Bruno D'Amore, matematico, ma anche narratore, va al cuore della questione, nel suo nuovo libro narrativo. E si addentra in questo territorio minato puntando su due atouts di non facile (auto)controllo nemmeno per scrittori di "professione", quali lo sfondo storico (in Italia molto fortunato, va da sé, tra Manzoni, Tomasi di Lampedusa, Eco); e il pedale metanarrativo. Il Leitmotiv unificatore del suo libro, infatti, è il rapporto maieutico, o altrimenti socratico, tra discepolo e allievo: la buona divulgazione, è noto, prevede sempre l'instaurazione di un rapporto pedagogico, anzi, al di fuori di questa relazione proprio non può esistere.