Le "città divise" si presentano come una contraddizione tra le più laceranti del mondo globalizzato. Nello stesso tempo in cui la libera circolazione delle merci, dei capitali e degli uomini si afferma sembre più come un obiettivo e una modalità fondamentale del vivere contemporaneo, permangono muri e separazioni all'interno del nucleo simbolico delle nostre culture: lo spazio urbano. Tutti ricordano l'episodio, di per sé folkloristico, del "muro di Padova", la recinzione in pannelli di ferro che mirava a confinare fisicamente nel quartiere degli immigrati le attività illegali di spaccio e la prostituzione. Ben altro peso, e ben altri presidi militari hanno invece i muri studiati da Calarne e Charlesworth nelle "città divise" del XXI secolo: Belfast, Beirut, Gerusalemme, Mostar e Nicosia. Ma simile ne è l'origine: la necessità di ridurre la belligeranza tra parti della città in conflitto per motivi religiosi o politici, che si trasforma nel tempo in partizione fisica e culturale, in fenomeno urbanistico. Gli autori non illustrano nel dettaglio le cause e il percorso che ha condotto alla divisione all'interno delle cinque città (anche se non mancano le informazioni essenziali al riguardo), vogliono invece isolare e iniziare a spiegare le forme strutturali che assumono in queste città le ferite dell'odio. I modi di vita, l'aspetto estetico, le situazioni sociali e i modelli di reazione fra le comunità di queste "città divise": di tutto questo si occupa il libro. Prefazione di Guido Morpurgo.