"È sulle parole più semplici, schiette, dal senso meno equivocabile, che lo spirito borghese ha esercitato con maggiore acribia il suo talento denigratorio, la sua vocazione punitiva. "Uomo", anzitutto. Dal momento che i borghesi erano signori (o magari cittadini), rimanevano uomini i soli poveri. Il termine che per Shakespeare comprendeva le più nobili virtù definisce oggi gli esecutori dei lavori più pesanti e peggio pagati. Infine, sostituito anche nelle più basse operazioni dall'addetto, dall'operatore e simili, "uomo" resta a significare nient'altro che l'astratta unità lavorativa di un'azienda o di una formazione militare. Analogo vilipendio colpiva "Vita" degradata a sinonimo di prostituzione: "fare la vita", "ragazzi di vita"... Forse all'inizio la vita così intesa era accompagnata dalla qualifica cattiva o mala o brutta, che ben presto dovette sembrare del tutto superflua..." (dall'introduzione). Satire, ritratti, paesaggi di un lucido saggista capace di vedere nei vari e apparentemente eterogenei mutamenti della società italiana le costanti di un "brutto poter che a comun danno impera".