La paura è un sentimento spiacevole, una passione che fa parte integrante dell'essere dell'uomo e degli animali con una sua specifica funzione biologica. Ma la paura è anche un momento strategico all'interno del cosiddetto tardocapitalismo. Da un lato quest'ultimo non farebbe che enunciare l'esigenza della sicurezza, del benessere e di una tranquillità anestetica che rasenta l'accidia e l'indolenza. Dall'altro, invece, sembrerebbe alimentare la stessa paura, diffondendola ovunque e anzi alimentandola: catastrofi, default, superbatteri, violenza, ma anche sedentarietà, obesità, dipendenza da droghe, ricerca spasmodica del pericolo, il tutto mixato in una sorta di decadente cupio dissolvi. Tutto "deve" far paura e la paura "deve" essere controllata e addomesticata. Bazzanella investiga questo strano paradosso correlandolo a quell'epoca cosiddetta postmoderna e all'imminente affacciarsi di un ancora indistinto post-postmoderno. Egli intercetta così autori come Deleuze e Guattari, Zizek, Derrida, Foucault, Sloterdijk, Gehlen, Heidegger e Lacan per rintracciare i primi annunci di una strategia ben precisa che ha come suoi referenti il mercato, il consumo, la società dello spettacolo.