È l'estate del 1972, Andrea Pazienza ha sedici anni, e ritorna sul Gargano per le vacanze estive. Quello appena trascorso è stato un anno di grazia. A Pescara, dove ha frequentato il terzo anno di liceo artistico, il suo vitalismo e il precoce talento hanno avuto modo di manifestarsi in tutto il loro sbalorditivo potenziale. È in questa estate che Andrea, munito di un pennarello e di un album in formato A3, decide di confrontarsi con uno dei mostri sacri del 900, Jacques Prévert. Le 17 tavole raccolte illustrano il "Tentativo di descrizione di un banchetto in maschera a Parigi, Francia", "Lo spazzino (balletto)" e la pièces teatrale "Entrate e uscite". È l'incontro di due artisti ugualmente popolari e anarchici, sperimentali e vernacolari, violentemente antiborghesi e iper-romantici, audaci e fortemente comunicativi. Sono tavole dense e complicate, realizzate eppure con un tratto semplice, essenziale. Traendo linfa da Prévert rappresenta l'orrore, la violenza, lo stupro, senza perdere mai di vista l'utopia e la bellezza attraverso un segno comico-grottesco, iperbolico. Cos'hanno in comune Prévert e Pazienza? Il primo dopo aver attraversato il secolo, si è spento proprio nel 1977, quando il talento dell'altro con Pentothal e sulla scia della contestazione raggiungeva la sua consacrazione. Paz morì tragicamente appena undici anni dopo, simbolo di quella generazione che "non ha mai realmente creduto a niente, se non nella sua dannazione". (Prefazione di Fernanda Pivano)