Elmi e corazze di legionari si specchiano nel Tevere. L'Aquila e la Croce sulle insegne romane svettano al richiamo della battaglia. In prima fila, l'imperatore Costantino guida l'assalto dei suoi uomini, devastante. Il nemico è in fuga, ma il fragile ponte di legno non ne regge il peso. Non c'è via di scampo: le acque del fiume si tingono di rosso, chiudendosi su migliaia di cadaveri. È così che Costantino entra a Roma da trionfatore, con la testa del suo avversario Massenzio su una lancia. Ha realizzato l'ambizioso sogno di unificare il maledetto Impero. Ma a tenere tutto il mondo nelle proprie mani mani che hanno impugnato la spada, mani sporche di sangue - si sta soli. E Costantino lo sa bene. La sua sete di potere lo ha spinto a calpestare chiunque, anche chi lo ama, dalla bellissima moglie Fausta al suo mentore Diocleziano, pagando un prezzo altissimo: la sua libertà. Perché nei palazzi del potere e sui campi di battaglia ogni alleanza può rivelarsi fatale e ogni combattimento essere l'ultimo.
Nicomedia, 337 d.C. In punto di morte, l’imperatore Costantino racconta all’amico Eusebio di Cesarea, vescovo cattolico, la lunga e spietata scalata che lo ha condotto al comando dello sterminato Impero romano. Durante un’interminabile notte di confessione, Costantino rivive le eroiche battaglie e gli intrighi della politica, le lotte di palazzo e il troppo dolore che la continua fame di potere lo ha costretto a infliggere a se stesso e a chi più lo amava, come la bellissima moglie Fausta o Diocleziano, che di Costantino è stato mentore. L’imperatore sa che tenere in pugno il mondo intero significa lasciarsi alle spalle morte e distruzione, e trionfare in una solitudine terribile ma mai così desiderata. In attesa dell’ultima battaglia.