C'è chi ha voluto fare di Paolina Bonaparte un'eroina, chi l'ha resa responsabile della caduta dell'impero, chi ha deriso in lei una vanesia amante o addirittura una ninfomane. Come Zeus creava l'immagine di Afrodite scegliendo le bellezze di un gruppo di modelle, così la "piccola sorella" di Napoleone (come la vezzeggiava lui), non impari alle grandi amorose componeva l'amante ideale passando attraverso schiere di uomini; e, quando le pareva di averlo trovato, lo teneva così stretto da lasciar supporre che volesse farne uno schiavo o, peggio, divorarlo: Venere avvinghiata alla sua preda. La sfilata di centinaia di migliaia di visitatori davanti alla sua statua come Venere Vincitrice, capolavoro del Canova, alla Villa Borghese, fa fede che l'interesse da lei destato è sempre vivo: si direbbe che incarni ancora oggi l'eterno femminino, con l'alone di fascino e mistero che comporta l'espressione. Vicino a lei, in queste pagine, spicca Napoleone, non il solito cliché eroico tra sventolii di bandiere e rulli di tamburi, ma un opportunista come tanti, cinico e sprezzante come pochi, eppure sotto certi aspetti ammirevole. E, tra coloro che furono amati dalla divina Paolina, chi resta più caro alla mente del lettore? Il navigato cittadino Fréron, amico del fratello, innamorato come un adolescente? Oppure lo spiantato conte Luigi Forbin, senza dubbio mediocre artista ma grande cuore? O il colonnello Giulio Canouville, dello squadrone del maresciallo Berthier, spavaldo sventato focoso?